Salute, malattia ed equilibrio acido-base della matrice extracellulare – Parte 1

Salute, malattia ed equilibrio acido-base

Da un po’ di tempo, si sente parlare e si legge con sempre maggiore frequenza di equilibrio acido-base: non sempre chi ne parla o chi scrive mostra di aver chiari i termini della questione; una prima precisazione si rende d’obbligo: nella Medicina ambulatoriale, non ospedaliera, c’è un solo equilibrio acido-base di cui si possa parlare ed è quello della matrice extracellulare. L’equilibrio acido-base del sangue è infatti argomento specialistico, riservato ad anestesisti-rianimatori, clinici medici, pneumologia, nefrologi, operanti in strutture ospedaliere dove afferiscono pazienti generalmente gravi, spesso in pericolo di vita.

Ricordo che il range del pH nel sangue è compreso fra 7.35 e 7.45; a 6.90 il paziente è a rischio di arresto cardiaco o coma; un valore di pH di 6.80 è incompatibile con la vita: espressioni del tipo “se il sangue diventa acido si va in ansia o insorgono molti disturbi” oppure “una alimentazione proteica acidifica il sangue”, come si leggono a volte in riviste dedicate al salutiamo, sono prive di senso, perché contrarie alla realtà clinica, che vede anche soltanto nella lievissima acidità ematica un pericolo grave per la vita.

Ciò di cui si può parlare, in ambito extraospedaliero, è dell’equilibrio acido-base della matrice extracellulare; con questo nome ci si riferisce all’insieme di tutti gli spazi che circondano le cellule, spazi costituiti da acqua, cellule, vasi, terminazioni nervose neurovegetative, e con i quali tutte le cellule del corpo hanno scambi continui. Il concetto di matrice extracellulare fu definito alla fine degli anni 70 da Pishinger, dell’Università di Vienna, che introdusse il concetto, attribuito ad essa, di Sistema di regolazione di base, di un Sistema cioè funzionante come un network, una rete comunicativa, deputata allo scambio di informazioni fra cellule ed ambiente circostante. Si tratta di un progresso enorme rispetto ad una concezione, ancora imperante nei testi di Patologia Generale, che identifica la matrice extracellulare nella sostanza fondamentale anista o amorfa, definizione istologica, statica, che appare assolutamente impropria a definire la dinamicità della matrice, il vero grande “organo” di connessione fra i vari sistemi biologici dell’organismo. È dalla matrice extracellulare che le cellule prendono micronutrienti, vitamine, minerali, ossigeno e ad essi cedono i residui acidi del loro metabolismo.

Dalla qualità della matrice extracellulare, quindi, dipende sia la salute delle cellule sia lo scambio di informazioni fra i vari organi ed apparati; in particolare il suo pH deve essere lievemente alcalino, cioè intorno a 7.4: solo a questo valore di pH gli enzimi (detti “carrier transmembrana) che trasportano i micronutrienti da una parte all’altra della membrana cellulare, funzionano al meglio.

L’acidosi di questi spazi extracellulari può essere la conseguenza di una acuta o cronica mancanza di ossigeno, di origine vascola re ostruttiva o da vasospasmo; ma anche, e direi sopratutto, da uno stile di vita acidificante (errori alimentari, scarso apporto di acqua, inattività fisica, eccesso di attività fisica, inquinamento, eccesso di stress, assunzione di farmaci, nicotina, alcol, ecc).

L’acidosi, genera un ristagno di tossine acide nella matrice extracellulare, che il sistema immunitario si incarica di eliminare attivando una risposta infiammatoria. In una Medicina impostata sulla soppressione dei sintomi, anche l’infiammazione, il più importante meccanismo di difesa
di cui l’organismo disponga, è diventata un “malattia”, da trattare con sintomatici-palliativi. Se l’acidosi si mantiene nel tempo, rimane attiva anche la risposta immunitaria, che diventerà via via sempre più grave, con espressioni degenerative, se non, addirittura, autoimmunitarie, con una infiammazione rivolta contro componenti stessi dell’organismo (cellule, articolazioni,mucose). Solo in questa fase autoimmunitaria, l’infiammazione eccessiva va modulata, per ridurne l’effetto autodistruttivo. Ad un livello estremo di degenerazione si colloca la degenerazione tumorale. Quindi, in sintesi, la progressione é: da acidosi a infiammazione, da infiammazione a degenerazione, da degenerazione a degenerazione tumorale.

Questa equivalenza fra acidosi-infiammazione-degenerazione è quello che dobbiamo ricordare e che ci aiuterà a spiegare tante malattie e ci darà importanti indicazioni su come risolverle. Su Internet, di recente, girava una notizia, accolta dai frequentatori della rete, con sconcerto, come un tradimento perpetrato ai danni della informazione, che suonava all’incirca così: “Scoperta già da decenni la causa del cancro ma tenuta nascosta fino ad oggi”.

Questa notizia riferiva che nel 1931, ad un fisiologo tedesco, Otto Heinrich Warburg, fu assegnato il premio Nobel per la Medicina per i suoi studi sul metabolismo della cellula tumorale; egli stabilì che la mancanza di ossigeno (o “ipossia”) e l’aumento a dismisura della glicolisi anaerobica (che è utilizzazione da parte delle cellule del glucosio, in condizioni di mancanza di ossigeno), erano gli eventi iniziali che trasformavano una cellula normale in una cellula tumorale. L’acidosi dei tessuti, cioè l’accumulo di sostanze acide, genera mancanza di ossigeno: quindi, un ambiente acido è un ambiente privo di ossigeno.

Che siano passati decenni, senza che le ricerche di Warburg abbiano influenzato l’approccio alla lotta contro i tumori, sopratutto in termini di prevenzione, si commenta da sé. L’applicazione clinica dell’alcalinizzazione (prendiamo come suo sinonimo “de-acidificazione) come contrasto all’accumulo progressivo degli acidi, è praticata e studiata sin dagli anni sessanta, sopratutto nei paesi di lingua tedesca. I miei studi su
questo argomento sono trentennali: non si può certo parlare di una novità. La scarsa diffusione è legata alla difficoltà, per una Medicina impostata sulla ricerca e la soppressione dei sintomi, di un ragionamento ed una pratica che invece si inseriscano nel più generale contesto di una risanamento del “terreno biologico” dell’organismo.

Sui libri e sulle riviste si correla l’acidosi al sovrappeso, all’obesità, alle allergie, ai dolori, alle cefalee, al diabete, alle infiammazioni, alla stanchezza, agli squilibri ormonali, agli stati di ansia, alla depressione, ai tumori, ecc.
Apparentemente sembra una esagerazione, correlare tante malattie ad un unico processo fisiopatologico: in realtà non lo è, in quanto proprio la matrice extracellulare, è l’organo che, grazie al dinamismo intrinseco legato alla sua prevalente composizione in acqua, si pone al centro delle connessioni fra psiche, Sistema Nervoso Centrale e Periferico, Sistema ormonale ed immunitario. In pratica la PsicoNeuro-EndocrinoImmunologia esiste grazie alla matrice extracellulare.
Come si contrasta l’acidificazione della matrice extracellulare? Con l’attuazione di uno stile di vita alcalinizzante, nel quale l’alimentazione svolge un ruolo molto importante. In molti libri ed articoli sull’argomento, non appena si parla di acidosi ed alimentazione, ci si precipita quasi a “demonizzare” l’apporto proteico proveniente da proteine di origine animale. In questa sede non voglio aprire la discussione su “proteine animali sì, proteine animali no”; la mia personale impressione è che “si ululi alla luna”, in quanto oggi, chi si relaziona con le abitudini alimentari delle persone, si rende facilmente conto che non è l’apporto eccessivo di proteine animali a saltare all’occhio (anzi, riscontro più spesso carenze, in questo senso), bensì l’eccesso di carboidrati. La distorsionema mediatica che ha ridotto la tanto decantata “dieta mediterranea” a pasta, pane e pizza, ha fatto sì che l’alimentazione sia diventata fortemente carboidratica; le farine, sopratutto se lavorate, sono acidificanti. Si moltiplicano i libri, spesso successi editoriali, sugli effetti nefasti per la salute delle proteine animali; mi chiedo che valore possano avere libri documentali in cui non ci sia alcun riferimento sulle dosi di assunzione quotidiana a cui ci si riferisca.

L’alimentazione è diventata sempre più acidificante, a mio avviso sopratutto per l’aumentata assunzione di cereali, dolciumi, caffè, liquori, bibite zuccherate ed i vari cibi “spazzatura”, a scapito di cibi alcalinizzanti (semplificando, frutta ma, in particolare, verdura), in assenza di un adeguato rifornimento idrico quotidiano. In un regime alimentare normale, dal punto di vista acido-base, il 70-80% dell’assunzione calorica dovrebbe venire dalla verdura (in misura minore da frutta alcalinizzante).

Che nell’alimentazione non si potesse prescindere da verdura e frutta, lo si è sempre saputo: la visione acido-base può aiutare a rinforzare le motivazioni a fare ampio uso di questi cibi, perché permette di capire dove si colloca il loro effetto positivo. Tutte queste considerazioni sull’acidosi sono di particolare interesse per lo sportivo, il quale, da una parte si trova a produrre più acidi come risultato di un accelerato metabolismo cellulare muscolare, dall’altro, sopratutto se orientato a sport di potenza dove la massa magra ha bisogno di una certa rilevanza, può trovarsi un po’ smarrito nel compiere scelte alimentari che non aggravino l’acidosi.

Nelle scelte alimentari può essere di grande aiuto tenere presente il PRAL: positivo per quelli acidificanti, negativo per quelli alcalinizzanti. Vorrei fare una precisazione: nessun cibo è di per sé da evitare in modo assoluto: anche cibi acidificanti sono da utilizzare come parte integrante di una sana alimentazione. La nozione da acquisire è che la proporzione fra cibi alcalinizzanti e cibi acidificanti si deve collocare, all’incirca, attorno ad un rapporto di 4 a 1.

I cibi considerati acidificanti sono:
• carne, pesce, uova, formaggi stagionati (i formaggi freschi sono meno acidificanti), cereali (la pasta da farine lavorate è più acidificante rispetto alla pasta da farine integrali)
• i legumi, specialmente secchi
• i dolcificanti e le bevande dolcificate
• caffè, tè, vino, liquori
• i dolciumi e tutto ciò che è dolcificato

I cibi considerati alcalinizzanti sono:
• le verdure (specialmente gli ortaggi consumati crudi)
• le patate
• la frutta secca (mandorle, noci brasiliane, fichi, datteri, uvetta), tranne noci e nocciole
La frutta fresca, ben matura, specialmente banane, pere, meloni (pensiamo alla saggezza popolare, istintiva, ma dettata dal buon senso: prosciutto e melone o pere e parmigiano o bresaola e rucola; abbiamo una associazione molto opportuna fra cibo acidificante (prosciutto, parmigiano e bresaola) e cibo alcalinizzante (melone, pera, rucola). La frutta produce acidi, detti “volatili”, che vengono eliminati con il respiro; alla fine della sua
metabolizzazione, rimane l’effetto alcalinizzante dei suoi sali minerali e vitamine. La sedentarietà assoluta e l’età avanzata, consigliano di non esagerare con l’assunzione della frutta, vista la minore efficacia della eliminazione acida attraverso i polmoni ed il carico di zuccheri che ne verrebbe. Molti ragionano così:”Se una cosa mi fa bene, assumendone tanta, mi farà benissimo”. Ricordiamo il detto latino “Est modus in rebus”…c’è una misura di mezzo, nelle cose, che è fonte di saggezza. Qualche frutto è un toccasana, ma chili di frutta, sono altra cosa!
Nella seconda parte analizzeremo più da vicino ciò che può essere utile allo sportivo per contrastare l’acidosi, che si rivela essere un nemico silenzioso e poco conosciuto di qualunque attività fisica intensa, tendenzialmente acido-formante.

 

Dott. Andrea Grieco

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